1. Disciplina
e natura giuridica dei fondi comuni di investimento
Il
Testo Unico della Finanza (D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58) definisce il fondo
comune di investimento come il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di
pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte.[1] Il
legislatore ha disciplinato - sin dal 1983, con l’introduzione nel nostro
ordinamento dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti[2] - strumenti tesi a favorire gli investimenti
collettivi in luogo della gestione individuale del patrimonio; successivamente,
durante l’ultimo decennio del secolo scorso, la disciplina dei fondi comuni è
stata adeguata alle Direttive europee in tema di organismi di investimento
collettivo in valori immobiliari[3] fino alla
definitiva consolidazione contenuta nel Testo Unico della Finanza.[4]
Il
fondo comune può essere di tipo aperto o di tipo chiuso. Nel fondo aperto, le
quote del patrimonio collettivo possono essere sottoscritte o rimborsate in
ogni momento. Nel fondo chiuso, le quote possono essere sottoscritte solo nella
fase di offerta e rimborsate a scadenze predeterminate; tuttavia è spesso
possibile acquistare le quote, successivamente all’emissione, dai
sottoscrittori iniziali ovvero venderle, prima della scadenza, a nuovi
investitori.
I fondi comuni rientrano dunque
nella categoria degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR)
e la loro istituzione ed organizzazione spetta alle società autorizzate, le
società di gestione del risparmio (SGR). Tali società possono gestire il
patrimonio dei fondi sia di propria istituzione che altrui e possono assumere
sia la veste di società promotrice del fondo che di gestore, provvedendo ai
relativi investimenti. Caratteristica fondamentale del fondo comune è quindi l’autonomia
del patrimonio sia da quello della società di gestione che dai patrimoni dei
singoli partecipanti, nonché da ogni patrimonio gestito dalla medesima società.[5] Inoltre
il fondo comune risponde esclusivamente con il proprio patrimonio per quanto
concerne le obbligazioni contratte per proprio conto.[6]
Tuttavia la definizione del fondo comune quale patrimonio autonomo non è
sufficiente ad integrare un autonomo soggetto di diritto. La Corte di
Cassazione si è recentemente pronunciata negando la possibilità che il fondo
possa configurare un’autonoma soggettività giuridica, vista l’assenza di una
struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, quale si riscontra,
ad esempio, nelle associazioni o nelle società di persone.[7] In
precedenza era stata avanzata la tesi che al fondo comune potesse essere
riconosciuta una propria soggettività distinta sia da quella dei partecipanti
sia da quella della società di gestione che lo ha istituito: secondo questo
orientamento il fondo, pur in assenza del formale riconoscimento di
personalità, poteva essere considerato centro di imputazione di rapporti
giuridici e titolare di obblighi e diritti.[8] La Corte
di Cassazione ha invece ricondotta la natura del fondo comune a quella di un
patrimonio vincolato ad un determinato scopo: l’autonomia richiamata dal T.U.F.
quale carattere imprescindibile del fondo non può quindi tradursi nella
capacità di autodeterminare le proprie scelte – che invece sono sempre operate
dalla società di gestione – ma piuttosto nella separazione della gestione del
patrimonio dalla titolarità. Tale separazione ha lo scopo di garantire la
posizione dei partecipanti, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di
pertinenza del fondo, lasciando tuttavia la titolarità formale dei beni in capo
alla società di gestione.[9]
L’interpretazione della Cassazione appare più coerente con il dato
normativo, dal quale emerge la statuizione di un rapporto di mandato
nell’interesse degli investitori, il cui contenuto è la gestione del fondo
comune. Alla società di gestione permane la titolarità formale e la
disponibilità giuridica dei beni ma è soggetta al vincolo di destinazione dei
beni conferiti nel fondo.[10]
2. Regime
impositivo dei fondi comuni
Dalla natura di patrimonio separato del fondo comune di investimento
discende l’assenza di soggettività passiva ai fini fiscali: si assume infatti
che il fondo non esista quale entità separata rispetto al partecipante e i
proventi vengono tassati direttamente in capo agli investitori. La disciplina
fiscale dei fondi comuni è ispirata infatti al principio di indifferenza, per
cui l’investimento compiuto attraverso l’intermediazione degli organismi di
investimento collettivo non deve essere né penalizzato né avvantaggiato
rispetto a quello effettuato direttamente dal sottoscrittore.
Si pone tuttavia il problema della natura dei redditi prodotti dagli
investimenti effettuati attraverso il fondo comune. Se i rendimenti fossero
percepiti direttamente dai partecipanti sarebbero sottoposti ad imposizione
personale, dunque assoggettati ad un diverso regime di tassazione a seconda
dell’inquadramento nelle categorie di redditi di capitale (interessi,
dividendi) o redditi diversi (plusvalenze). L’investimento effettuato tramite
intermediazione invece comporta la distribuzione dei rendimenti agli
investitori in modo indifferenziato, a prescindere dalla loro originaria natura
di dividendi, interessi e plusvalenze, ledendo il principio di indifferenza cui
si ispira la disciplina fiscale. Pertanto il sistema si completa con la
previsione secondo cui i proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi non
concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti, se le quote del
fondo sono detenute al di fuori del regime di impresa. Nel caso in cui
l’investitore sia un’impresa, i proventi saranno assoggettati a tassazione ma
contestualmente verrà accordato un credito d’imposta al fine di neutralizzare
il prelievo già operato in capo al fondo.[11]
Inoltre
il momento della percezione dei proventi dei propri investimenti da parte del
fondo non coincide con quello della percezione da parte degli investitori. Gli
utili conseguiti, se non distribuiti, vengono reinvestiti e il sottoscrittore
beneficia di un incremento di valore delle quote del fondo di sua proprietà.
Pertanto l’imposizione viene posticipata nel tempo in capo all’investitore e,
dato il regime fiscale del fondo comune, i rendimenti del fondo vengono
accumulati in esenzione da ogni prelievo. Tale fenomeno, noto come tax deferral, viene ovviato dal nostro
ordinamento assoggettando i redditi non distribuiti ad imposizione in capo al
fondo comune, attraverso l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta del
12,5%.
Tuttavia i rendimenti dei fondi comuni di diritto estero sono
assoggettati ad imposta direttamente in capo ai partecipanti, al momento della
percezione dei proventi: ciò determina un trattamento asimmetrico rispetto al
regime dei fondi comuni di diritto italiano.
2.1.
Trattamento fiscale della partecipazione a fondi di investimento italiani
I fondi di diritto italiano sono dunque soggetti ad una ritenuta a titolo
di imposta del 12,5%, calcolata sulla differenza tra il valore iniziale ed il
valore finale degli investimenti effettuati nel corso dell’anno. Il risultato
della gestione è dato dall’incremento del valore del patrimonio netto del fondo
e si determina sottraendo dal valore del patrimonio netto alla fine dell’anno
il valore del patrimonio netto all’inizio dell’anno, aumentato dei proventi
derivanti dalla partecipazione ad OICR soggetti ad imposta sostitutiva, dei
proventi esenti e quelli soggetti a ritenuta a titolo di imposta.[12] In ogni
caso è necessario computare anche i proventi eventualmente distribuiti durante
l’anno agli investitori. Individuata la base imponibile, la SGR dovrà imputare
l’imposta dovuta nell’apposita voce del passivo e determinare il nuovo valore
del patrimonio netto, che dovrà essere diviso per il numero delle quote in
circolazione. Se il risultato di gestione è negativo la SGR può portarlo in
diminuzione dei risultati di gestione dei periodi successivi.
L’investitore mantiene l’anonimato sui proventi del fondo: non deve
quindi indicare tali redditi in dichiarazione, in quanto l’imposta è già stata
assolta in via sostitutiva dalla società di gestione del fondo comune. Se il
sottoscrittore di quote disinveste dal fondo, incassando una plusvalenza, è
parimenti esentato dalla dichiarazione ai fini fiscali in quanto il valore
della quota è calcolato al netto dell’imposta.[13]
L’imposta sostitutiva è applicata nella misura del 27% sulla parte del
risultato di gestione relativo alle partecipazioni qualificate intendendosi
partecipazioni al capitale o al patrimonio netto con diritto di voto delle
società di cui all’art. 73, comma 1, lettere a) e d) del TUIR, superiori al 10%
per le partecipazioni quotate in mercati regolamentati ovvero al 50% negli altri
casi.[14]
La normativa inoltre prevede specifiche esenzioni per alcune tipologie di
redditi di capitale conseguiti dal fondo: la ritenuta del 27% sugli interessi
ed altri proventi dei conti correnti bancari non è applicabile[15],
l’imposta sostitutiva sugli interessi, i premi e gli altri frutti delle
obbligazioni[16],
i proventi derivanti da pronti contro termine su titoli e valute e dal mutuo di
titoli garantito sono conseguiti senza applicare la ritenuta d’acconto del
12,5%[17] e i
dividendi percepiti non subiscono alcun prelievo alla fonte.[18] Infine
le plusvalenze sono percepite dai fondi comuni senza alcun prelievo d’imposta
vista l’assenza di soggettività giuridica ai fini fiscali: ne consegue che le
plusvalenze concorrono a formare il risultato della gestione nel periodo
d’imposta al lordo di ogni onere impositivo.[19]
2.2. Tassazione
dei non residenti che investono in fondi di diritto italiano
Ai soggetti non residenti che hanno conseguito proventi da OICR soggetti
ad imposta sostitutiva è riconosciuto il diritto al pagamento di una somma pari
al 15% dei medesimi proventi. Si considera il reddito conseguito dal sottoscrittore per effetto della
distribuzione di proventi da parte dell'organismo, nonché la differenza tra il
valore di riscatto e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto
delle quote.[20] Tali disposizioni si
applicano nei confronti dei soggetti residenti in Stati con i quali sono in
vigore convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito che consentano
all'amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per
accertare la sussistenza dei requisiti, sempreché tali soggetti non risiedano
negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato: sono dunque i soggetti
residenti in Paesi “white list”.[21]
Inoltre sono esenti
dall’imposta sostitutiva sul risultato della gestione i fondi comuni le cui
quote siano sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti
(limitatamente ai residenti in Paesi “white list”). L’esenzione è invece
esclusa nel caso di non residenti titolari di certificati al portatore delle
quote sottoscritte.[22] I proventi conseguiti da tali
fondi comuni sono dunque esenti da ogni tipo di imposta italiana in capo ai
soggetti non residenti. Anche gli investitori istituzionali esteri – tra i
quali i fondi – sono inseriti tra i soggetti non residenti che la normativa
fiscale italiana esenta dal prelievo sugli interessi e sulle plusvalenze,
indipendentemente dalla tassazione cui sono soggetti nel proprio Paese.
2.3.
Trattamento fiscale della partecipazione a fondi di investimento esteri
A differenza dei
fondi comuni di diritto italiano, nel caso di investimento in fondi di diritto
estero è consentito in beneficio del tax
deferral, attraverso la tassazione dei proventi al momento della
distribuzione. Nel regime di
tassazione introdotto con il D.Lgs. 23 dicembre 1999 n.500, i fondi comuni
esteri erano tassati in capo ai partecipanti al momento della realizzazione, ma
il calcolo dell’imposta avveniva attraverso il cd. equalizzatore che aveva la
funzione di equiparare il prelievo alla realizzazione a quello che si sarebbe
avuto nel caso in cui la tassazione fosse stata effettuata alla maturazione,
analogamente al trattamento riservato ai fondi interni.
A seguito dell’abrogazione dell’equalizzatore nel 2001 i sottoscrittori
di fondi esteri possono godere pienamente del beneficio del tax deferral: i proventi derivanti dalla
partecipazione a fondi di investimento di diritto estero sono quindi tassati in
capo agli investitori residenti soltanto al momento del realizzo, cioè quando i
proventi vengono effettivamente percepiti.[23]
Per i fondi esteri armonizzati (conformi alle direttive comunitarie n. 85/611
e 88/220) è prevista la tassazione in capo all’investitore applicando una
ritenuta a titolo d’imposta del 12,5% al momento della realizzazione; per
quanto riguarda i fondi esteri non armonizzati, i proventi sono tassati
attraverso una ritenuta a titolo d’acconto del 12,5% e le plusvalenze
realizzate concorrono alla determinazione del reddito complessivo. La
Commissione Europea, attraverso la procedura di infrazione n. 4145/2008, ex art. 226 del Trattato CE, ha tuttavia
rilevato come il diverso trattamento fiscale tra i fondi esteri ed i fondi
mobiliari non armonizzati di diritto italiano sia penalizzante per i fondi di
diritto estero e quindi non compatibile con i principi di diritto comunitario
relativi alla libera circolazione dei capitali nell’ambito dell’Unione Europea.[24]
La ritenuta è applicata dall’intermediario residente incaricato del
pagamento dei proventi medesimi oppure del riacquisto o della negoziazione
delle quote o azioni. La base imponibile è data dalla differenza tra il prezzo
di riscatto o di cessione delle quote ed il valore medio ponderato di
sottoscrizione o di acquisto delle quote stesse.
3. Riforma
della tassazione dei fondi comuni di investimento di diritto italiano
La disciplina sulla tassazione delle partecipazioni a fondi comuni di
investimento si fonda in primo luogo su una sostanziale equivalenza tra redditi di capitale e redditi diversi e sull’introduzione
della tassazione sostitutiva operata dagli intermediari. In particolare i fondi
comuni sono soggetti alla disciplina del risparmio gestito, caratterizzato
dalla tassazione del risultato di gestione in base al criterio di maturazione.
L’articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 stabilisce che i fondi
comuni d’investimento non siano soggetti alle
imposte sui redditi. Il risultato della gestione del fondo
"maturato" in ciascun anno è sottoposto ad un’imposta sostitutiva
nella misura del 12,5%, che viene versata dalla società di gestione del
risparmio. Per quanto concerne i proventi derivanti dalla partecipazione a
fondi comuni di investimento di diritto estero conformi alle direttive
comunitarie (c.d. fondi armonizzati), situati negli Stati membri dell'Unione
europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, l’articolo
10-ter , commi 1 e 4, della legge 23 marzo 1983, n. 77, prevede un regime di
tassazione sul “realizzato”, con applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta
del 12,5%.
Questa disparità di trattamento ha determinato, secondo molti
osservatori, uno svantaggio competitivo dei fondi di diritto italiano rispetto
a quelli di diritto estero. Infatti, i fondi italiani scontano il prelievo
prima ancora che i partecipanti abbiano conseguito i redditi loro spettanti.
Inoltre i fondi italiani devono versare annualmente l’imposta sull’incremento
di valore registrato nell’attivo e sono tenuti ad esporre i rendimenti al netto
dell’imposta sostitutiva, che si traduce
in un disincentivo alla valorizzazione dei titoli in portafoglio dei fondi
secondo il criterio del fair value,
utilizzato abitualmente dai fondi non italiani.[25]
Il problema dell’asimmetricità del sistema di tassazione dei fondi comuni
si è posto sin dall’abrogazione dell’equalizzatore nel 2001[26]; è stato
riproposto recentemente in sede di conversione in legge del D.L. n. 135 del 25
settembre 2009 – che, peraltro, estendeva il regime del prelievo al momento del
realizzo anche ai proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi esteri non
armonizzati – laddove lo stesso art. 14, poi soppresso, prefigurava
l’opportunità di un riordino generale del regime tributario dei proventi
derivanti dalla partecipazione agli organismi di investimento collettivo in
valori mobiliari. In tale occasione un’iniziativa parlamentare volta
all’equiparazione del regime fiscale dei fondi italiani con quelli esteri ha
avviato un processo di riordino della materia da più parti ritenuto
improcrastinabile: elemento imprescindibile appare dunque l’eliminazione del
sistema di tassazione sul “maturato” adottato per i fondi italiani che
rappresenta un sensibile svantaggio competitivo rispetto all’investimento in
quote di fondi esteri.
3.1. Il
disegno di legge A.S. n. 2028 (XVI Legislatura)
L'A.S. n. 2028, recante "Disposizioni
in materia di riordino della tassazione dei fondi di investimento mobiliare
chiusi", di iniziativa della Senatrice Maria Ida Germontani, è stato
presentato in Senato in data 23 febbraio 2010. Il disegno di legge propone la
novella dell’art. 11 della Legge 14 agosto 1992 n. 344, introducendo il regime
di tassazione sul “realizzato”. In particolare si prevede che la società di
gestione del risparmio operi una ritenuta del 12,50 per cento sui proventi di
cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR, derivanti dalla
partecipazione ai fondi comuni di investimento mobiliare chiusi. La ritenuta si
dovrebbe applicare sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione al
fondo e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto o di
liquidazione delle quote e il costo di sottoscrizione o di acquisto delle
quote. Si evidenzia che il contenuto
della disposizione proposta sembra rifarsi a quanto attualmente previsto dal
comma 1 dell'articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 per i proventi
derivanti dalla partecipazione a fondi comuni di investimento di diritto estero
armonizzati.
Inoltre viene proposta l'applicazione a titolo di acconto della ritenuta
del 12,5% sui proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi nei confronti
delle imprese commerciali (sia organizzate in forma di società di persone o di
capitali, sia esercitate sotto forma di imprese individuali).
3.2. La Legge 26 febbraio 2011 n. 10
(Conversione del Decreto Legge “Milleproroghe 2011”)
Con l’approvazione definitiva del
Decreto Legge “Milleproroghe 2011” la riforma della tassazione dei fondi comuni
di investimento di diritto italiano è giunta a destinazione. La tassazione dei
fondi italiani viene allineata a quelli di diritto estero mediante l’abrogazione
della tassazione dei redditi del fondo in base al criterio della maturazione.
L’imposta viene ora applicata sui medesimi redditi in capo ai partecipanti al
momento della realizzazione.
La riforma, contenuta nei commi 62-68
dell’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2010 n. 255, convertito con modificazioni
dalla Legge 26 febbraio 2011 n. 10, entrerà in vigore il 1° luglio 2011. Si
fonda principalmente su tre interventi:
1)
I fondi comuni italiani, con la sola esclusione
dei fondi immobiliari, ed i fondi lussemburghesi storici non sono soggetti alle
imposte sul reddito ed all’IRAP. Inoltre i proventi percepiti non subiscono le
ordinarie ritenute alla fonte o imposte sostitutive;[27]
2)
La tassazione avviene esclusivamente per cassa,
in capo ai partecipanti. I proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi di
diritto italiano sono assoggettati ad una ritenuta del 12,5%, mentre le perdite
di capitale, in quanto redditi diversi, possono essere utilizzate in
compensazione con le plusvalenze su altri titoli nei quattro anni successivi;
3)
I risultati negativi di gestione possono essere
utilizzati, senza limiti temporali e di importo, in compensazione dei redditi
percepiti dai partecipanti ai fondi.
Vengono inoltre apportate alcune
modifiche al regime fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione ai
fondi di diritto estero non armonizzati: tali redditi non concorreranno più
alla formazione del reddito imponibile dei partecipanti, ma saranno
assoggettati ad una ritenuta nella misura del 12,5%.[28]
Accolta quasi unanimemente come un
intervento necessario al rilancio dei fondi italiani[29], si
deve tuttavia registrare una voce isolata ma fortemente critica che sottolinea
come la riforma amplifichi le differenze di trattamento tra i diversi regimi
fiscali di tassazione del risparmio, favorendo significativamente i fondi
comuni in quanto soltanto le gestioni collettive del risparmio possono dedurre
eventuali minusvalenze non solo nei confronti delle plusvalenze, ma anche nei
confronti di interessi e dividendi.[30]
Si deve infine evidenziare come il
passaggio alla tassazione alla realizzazione comporti l’assoluta esclusione
dall’imposizione dei proventi dei fondi sino al momento in cui il partecipante
decida di cedere la propria quota o fino al momento della distribuzione dei
rendimenti del fondo.
[1]
Art. 1, comma 1, lettera j, T.U.F.
[2]
Legge 23 marzo 1983 n. 77
[3]
D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 83 che ha modificato l’originaria disciplina dei
fondi comuni di investimento mobiliare in attuazione delle direttive CEE n.
85/611 e n. 88/220
[4] I fondi
comuni di investimento mobiliare aperti italiani sono stati istituiti con la
Legge n. 77 del 1983, le SICAV italiane
con la legge n. 84 del 1992, i fondi comuni mobiliari chiusi con la legge n.
344 del 1993. Tutte queste forme di gestione collettiva del risparmio sono ora
disciplinate dal T.U.F.
[5] Art. 36, comma 6, T.U.F.
[6]
Modifica introdotta dall’art. 32, comma 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78
[7]
Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2010, n. 16605
[8]
Consiglio di Stato, parere n. 108 del 1999
[9]
Francesca Romana Fantetti, Separazione e
titolarità del patrimonio nei fondi comuni di investimento in La responsabilità civile, n.2/2011
[10] Nicola
Brutti, Fondo comune di investimento:
oggetto o soggetto di diritto? in Le
Società, n.1/2011
[11] Maria
Cecilia Guerra, Gli organismi di
investimento collettivo europei a fronte della liberalizzazione dei movimenti
di capitali: problemi fiscali in F. Cavazzuti e S. Giannini (a cura di), Sistemi fiscali e integrazione europea,
Il Mulino, 1991
[12] Art.
11, Legge 14 agosto 1993 n. 344
[13] Piero
Bonarelli, Fondi mobiliari chiusi di
diritto italiano: regime impositivo del fondo e delle somme percepite dagli
investitori in Il fisco, n.
40/2009
[14] Art. 8, D.Lgs. 23 dicembre 1999 n.
505
[15]
Art. 11, comma 1, Legge 14 agosto 1993 n. 344
[16] I fondi
mobiliari non sono più annoverati fra i soggetti cui si applica l’imposta
sostitutiva a seguito delle modifiche apportate dall’art.12, comma 3, lettera b
del D.Lgs. 21 novembre 1997 n. 461 che ha riformulato il testo dell’art. 2 del
D.Lgs. 1 aprile 1996 n. 239
[17]
Art. 26, comma 3 bis, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600
[18] L’art.
27 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 non annovera i fondi comuni tra i
soggetti cui si applica la ritenuta sui dividendi.
[19] Nicolò
Raggi, Regime fiscale dei fondi comuni di
investimento mobiliari. Le novità del maxi-decreto e le prospettive di riforma
in Diritto e pratica tributaria, n.
3/2004
[20] Art. 9 D.Lgs. 21 novembre 1997 n.
461
[21] Art. 6, comma 1, D.Lgs. 1 aprile
1996 n. 239
[22]
Art. 9, comma 4, D.Lgs. 21 novembre 1997 n. 461
[23] Silvia Pansieri,
La nuova tassazione delle rendite
finanziarie in Rivista di diritto
tributario, n. 9/2002
[24] Il D.L.
n. 135 del 25 settembre 2009, all’art. 14, recava una disposizione – poi
soppressa in fase di conversione del decreto al Senato - che modificava il regime fiscale dei proventi
derivanti dalla partecipazione agli OICVM di diritto estero non conformi alle
direttive comunitarie: tale disposizione, tuttavia, sembrava al contempo
accentuare il trattamento fiscale differenziato esistente tra le varie tipologie di organismi di investimento
collettivo del risparmio negoziate in Italia. In particolare, i fondi di
diritto italiano sarebbero stati tassati con aliquota sostitutiva del 12,50%
sul risultato di gestione maturato nell'anno di riferimento, mentre i fondi
esteri (sia quelli armonizzati, sia quelli non armonizzati oggetto della
procedura di infrazione e dell'articolo 14 in parola) sarebbero stati tassati
con aliquota sostitutiva del 12,50% sulla differenza tra il valore di riscatto
o di cessione delle quote o azioni e il valore di sottoscrizione o acquisto.
(Governo Italiano, Dossier Decreto Legge n. 135 del 25 settembre 2009)
[25] Eugenio
Romita, Paolo Ruggiero, Il trattamento
Ires della partecipazione a fondi di investimento italiani ed esteri in Rivista di diritto tributario, n. 9/2009
[26] Audizione
della Assogestioni presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati sul
disegno di legge recante “Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di
capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi erariali, sul sistema
estimativo del catasto dei fabbricati, nonché per la redazione dei testi unici
delle disposizioni sui tributi erariali” (Atto Camera n. 42) – Roma, 20
dicembre 2006
[28] Tale
norma ripropone la disposizione già contenuta nel D.L. n. 135 del 25 settembre
2009 poi soppressa in sede di conversione in legge.
[29]
Domenico Siniscalco, Una svolta per il
settore in Il Sole 24 ore, 16
febbraio 2011; Giovanni Barbagelata, Marco Piazza, Per i fondi comuni arriva la parità fiscale in Il Sole 24 ore, 1 marzo 2011; AIFI
soddisfatta di riforma tassazione in Milleproroghe in Milano Finanza, 16 febbraio 2011; Vincenzo Polimeno, La riforma fiscale dei fondi comuni in Professione finanza, 21 febbraio 2011; Private equity, riforma fisco fondi avrà
impatto positivo in Italia Oggi,
16 febbraio 2011
[30] Maria
Cecilia Guerra, Una riforma strabica a
favore delle rendite in www.lavoce.info,
18 febbraio 2011
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